domenica 6 marzo 2011

Lavorare stanca, ma quanto è bello!!!

Oggi la sveglia ha suonato presto: bisognava essere pronti in fretta perchè il viaggio sarebbe stato lungo. C'era la Sicilia da attraversare, la meta era lontana, Calatafimi, la città da cui i picciotti avevano cominciato una nuova storia della Sicilia.

La mia scuola in quest'anno scolastico ha aderito ad un progetto di LIBERA, un progetto incentrato sul valore della legalità e l'importanza del giornalismo come strumento di consapevolezza e di "risorgimento" per la nostra terra "bellissima e disgraziata".

http://www.liberainformazione.org/news.php?newsid=14021

Abbiamo lavorato sodo: abbiamo visto e commentato il film "Fortapasc", che ci ha fatto conoscere il significato del giornalista-giornalista, da distingure dal giornalista-impiegato e, aggiungo io, dal giornalista-giornalaio, ovvero dal giornalista che ha come unico obiettivo lo scoop fine a se stesso, o peggio ancora, il giornalista che solletica il voyeurismo dei lettori con non-notizie o con pettegolezzi sempre più degradanti.

Abbiamo cercato di conoscere la storia dei giornalisti che la mafia ha ucciso e ne abbiamo discusso, abbiamo conosciuto due splendide ragazze, Angela Allegria e Enrica Frasca, giovani giornaliste di un giornale fatto da volenterosi, "Il Clandestino", che hanno interagito con gli studenti. Abbiamo visto l'intervista di Pippo Fava fatta da Biagi solo una settimana prima che il direttore de "I Siciliani" venisse ucciso dalla mafia, abbiamo seguito un filmato con Maddalena, la figlia di Mauro Rostagno, ci siamo interrogati sul valore etico del giornalismo, ed alla fine i ragazzi hanno preparato le domande da inviare a LIBERA per partecipare al 3° premio regionale di giornalismo dedicato a Mauro Rostagno, per trovarsi "Faccia a Faccia", come dice la titolazione del concorso, con Nando Dalla Chiesa.

Viaggio lungo e, nonostante la levataccia, siamo arrivati a manifestazione iniziata, ma subito, appena arrivati, è stato chiamato sul palco il nostro studente rappresentante: eravamo entrati nella cinquina dei finalisti. Che bello! Vincenzo, questo è il nome del mio studente, s'è seduto sul banco preparato sul palco per i cinque ragazzi entrati nella cinquina, pronto a fare le domande al dottor Dalla Chiesa, che ha risposto con competenza e lucidità. Che esperienza, e che bravo Vincenzo nel fare le domande con naturalezza e con sicurezza!

Tutti i ragazzi della cinquina scelta hanno posto le loro domande, preparate dal rispettivo gruppo di studenti delle scuole ed inviate al centro di Libera, che si è occupata di questo concorso. Alla fine sono intervenuti Elena Fava, figlia del grande Pippo, Salvo Vitale, compagno di sogni e di avventure di Peppino Impastato e Maddalena, la figlia di Mauro Rostagno, ha parlato agli studenti con un video registrato in precedenza.

Intanto la giuria ha esaminato le domande fatte e la capacità dei giornalisti in erba nel porgerle.

Alla fine sono stati menzionati tutti i referenti, partecipanti al premio, che sono saliti sul palco per ricevere gli attestati di partecipazione insieme ai rispettivi docenti.

Alla fine è stata ufficializzata la graduatoria:

PRIMO IL LICEO SCIENTIFICO "ENRICO FERMI" DI RAGUSA.

http://www.liberainformazione.org/news.php?newsid=14025

Lavorare stanca, ma quanto è bello!

GRAZIE RAGAZZI SIETE STATI SPLENDIDI!

sabato 8 gennaio 2011

Beppe Alfano

Solo qualche giorno fa ho scritto un post per ricordare Pippo Fava, ucciso dalla mafia il 5 gennaio 1984, ma non è stato, purtroppo, l'unico giornalista ucciso da "cosa nostra", anzi.

Oggi a Barcellona, in provincia di Messina, e dunque sempre sulla costa orientale della Sicilia, si è commemorato un altro giornalista, Beppe AlfanoBeppe Alfano, ucciso la sera dell'8 gennaio 1993.

Era un giornalista, come oggi non ne esistono quasi più, oggi abbiamo del giornalista un'idea assai particolare un gossiparo che c'informa della liason di monsieur le president, o della presunta gravidanza dell'attricetta o della velina, oggi chiamiamo giornalista chi va dietro a quelle soap opera o fiction reality sui delitti dei vari Garlasco, Cogne, Perugia, Avetrana (Vespa docet!). Alfano no, Alfano rivolgeva il suo interesse di giornalista verso uomini d'affari, mafiosi latitanti, politici e amministratori locali. Era uno che dava fastidio Beppe Alfano, parlava troppo Beppe Alfano, era uno scomodo Beppe Alfano. E la mafia sa. Sa che cos'è fare il giornalista, sa che fare il giornalista sul serio è un mestiere che può dare molto fastidio all'illegalità o al potere colluso e i giornalisti che danno fastidio si fanno zittire. Beppe Alfano, Pippo Fava, non sono soli in questo elenco terribile.

venerdì 7 gennaio 2011

Piersanti Mattarella


6 gennaio 1980

mattarellaPiersanti Mattarella era presidente della Regione Siciliana, tanto per capirci occupava la carica istituzionale che negli ultimi anni ha visto personaggi del “calibro” di Totò Cuffaro e, in questi anni, di Raffaele Lombardo.

Piersanti Mattarella era esponente della DC, allora il maggior partito italiano, quello che conquistava il favore della maggioranza del popolo italiano, quel popolo che sembrava avere intuito che la nostra democrazia, spacciata come un dono dei “liberatori” angloamericani, era bloccata, bloccata proprio per volontà di quegli stessi liberatori, che, come avremmo saputo in seguito, avevano costituito in Italia un’organizzazione stay behind chiamata gladio, che avrebbe dovuto impedire, con una risposta armata, un’eventuale vittoria del partito avversario, in quel caso le sinistre. E a Portella della Ginestra, proprio in Sicilia, gladio diede prova delle proprie capacità di cane da guardia della “democrazia” massacrando famiglie di contadini (11 morti e 71 feriti) che erano andate in quei luoghi a festeggiare il primo maggio del 1947, una decina di giorni dopo la vittoria del blocco delle sinistre, che avevano ottenuto la maggioranza relativa alle elezioni siciliane.

6 gennaio 1980

Piersanti Mattarella era figlio di un potente notabile del partito di maggior consenso in Italia, il partito che raccoglieva nelle proprie file tanti progetti eterogenei, quello di Giuseppe Dossetti, quello di Giorgio La Pira, quello di Alcide De Gasperi, ma anche quello di tanti camaleonti, che è il vero nome dei gattopardi di casa nostra, gente che s’era trovata a proprio agio tra le file del fascismo e che si riciclava con abilità, ma anche gente che conosceva bene la dura legge della oppressione che nella nostra terra si incarna da sempre nella mafia.

Il padre di Piersanti, Bernardo, era dunque un potente notabile, eletto nell’Assemblea Costituente, più volte ministro della Repubblica, ma più volte sfiorato dal sospetto d’essere stato contiguo con ambienti mafiosi.

6 gennaio 1980

Il giovane Piersanti cresceva mangiando pane e politica, ma la sua visione politica, inserita nel progetto della DC, si alimentava dell’ istruzione religiosa che acquisì nel suo soggiorno di studio a Roma, e si accrebbe grazie all’attività dell’Azione Cattolica, ed ebbe come ispiratori uomini come Giorgio La Pira ed Aldo Moro. Insomma il giovane Mattarella apparteneva alla DC, ma ad una DC diversa rispetto a quella che aveva visto il padre proptagonista (la Balena Bianca, come sarà poi chiamata la Dc, l’ho già detto, aveva molte anime ed alcune in profondo contrasto, come si può constatare ai nostri giorni dagli esiti del disciolto partito che ha visto la diaspora, la frantumazione in vari rivoli spesso divergenti).

Prima consigliere comunale a Palermo, poi assistente ordinario presso l’Università di quella città, fu eletto, nel 1967, ancora era vivo il padre, all’Assemblea regionale siciliana, e rieletto per altre tre legislature. Nel 1971 divenne assessore regionale alla Presidenza e nel 1978, il padre, frattanto, era morto, divenne presidente della Regione siciliana, a capo di una giunta di centro sinistra, con il sostegno esterno del PCI, come in quegli anni avveniva a Roma ad opera di Moro. A Roma lo rapirono Aldo Moro e poi l’uccisero, proprio in quell’anno. Nel 1979 Piersanti Mattarella formò un secondo governo e si schierò senza se e senza ma, come usa dirsi ai nostri giorni, contro la mafia. Nella prima settimana del febbraio del 1979, sostenne apertamente e con forza la necessità di correttezza e legalità nella gestione dei contributi agricoli regionali, a fronte di una aperta accusa portata dall’onorevole Pio La Torre nei confronti dell’assessorato dell’agricoltura tacciato di corruzione ed illegalità e di collusione con la delinquenza.

Apriti cielo! La DC intervenne con il peso del suo deus ex machina, Giulio Andreotti, che cercò di riportare la pecorella smarrita all’ovile. Ma Piersanti non capiva il linguaggio felpato della volpe della prima repubblica. Eppure Andreotti aveva avuto modo di conoscere in prima persona l’insofferenza della mafia per il comportamento di Matterella. E che Andreotti fosse consapevole dell’insofferenza della mafia è fatto ormai assodato: viene riportato nella sentenza del giudizio di Appello del lungo processo allo stesso divo Giulio, confermata dalla Cassazione nel 2004. Ma l’insofferenza di cosa nostra era anche cosa sua!

6 gennaio 1980

Quella mattina Piersanti Mattarella, presidente della Regione Siciliana, uscì di casa con la moglie per andare a messa. Salì sulla sua 132.

Un assassino si avvicinò alla macchina e sparò.

9 maggio 1978 ammazzarono Aldo Moro, che aveva ideato e fatto nascere un governo democristiano che, per la prima volta nella storia d’Italia, poteva contare sull’appoggio esterno del PCI.

6 gennaio 1980 ammazzarono Mattarella che aveva creato un governo siciliano di centro sinistra con il sostegno esterno del PCI.

La storia d’Italia slittò verso un terreno infido.

La storia della Sicilia ritornò sui suoi passi.


giovedì 22 luglio 2010

Boris Giuliano


A Palermo quel giorno faceva caldo, un caldo misto a quell’aria pesante, a quello scirocco, che non è solo un vento umido ed afoso, ma è, soprattutto, uno stato d’animo, appiccicoso ed asfissiante. Faceva caldo quel 21 luglio, un caldo appiccicoso che ti trapanava il cuore. Era l’estate del 1979 e nel nostro povero paese succedevano cose strane. L’anno prima era avvenuto il rapimento con l’uccisione degli uomini della scorta di Aldo Moro, che poi si concluse in quel terribile modo che tutti sappiamo. E solo dieci giorni prima di quella calda giornata, l’11 luglio, era accaduto un fatto terribile che metteva in comunicazione il nord con il sud del nostro paese, uniti nella criminalità: Giorgio Ambrosoli, curatore fallimentare della Banca Privata Italiana, controllata da Michele Sindona, era stato assassinato su mandato dello stesso banchiere - affarista - mafioso.

Era il 21 luglio quel giorno caldo ed appiccicoso.

Ebbene a Palermo c’era uno “sceriffo con i baffi”, uno che voleva portar un po’ di chiarezza, voleva rendere l’aria meno mefitica, meno nebbiosa. Lo sceriffo, che era stato nominato capo della polizia in sostituzione di Bruno Contrada, seguiva delle piste interessanti: aveva capito che la mafia stava cambiando pelle, aveva nuovi interessi, nuove strade per “fari picciuli”: ora la strada era quella della droga, e “lo sceriffo con i baffi” l’aveva capito. E solo qualche giorno prima della sua morte aveva incontrato Giorgio Ambrosoli, visto che nel seguire la sua pista della droga aveva avuto modo di imbattersi in un libretto al portatore, con un centinaio di milioni di lire di allora, appartenente a Michele Sindona, il quale sotto falsa identità si trovava in quel periodo in Sicilia, avendo inscenato un falso rapimento. E poi c’era il “fatto della Ficuzza”, eh sì, quel barbaro assassinio avvenuto a Ficuzza, una frazione del comune di Corleone, in cui erano stati uccisi il tenente colonnello dei Carabinieri, Giuseppe Russo, ed il suo amico, il professore Filippo Costa, e in quei giorni di luglio del 1979 il processo stava per concludersi. E c’era un personaggio criminale sullo sfondo, su cui lo sceriffo stava indagando, e di cui aveva compreso la pericolosità criminale, Leoluca Bagarella.

E lo sceriffo con i baffi aveva detto che il 28 luglio avrebbe dato una notizia clamorosa…

Il 28 luglio….

… ma il 21 Leoluca Bagarella uccise a tradimento “lo sceriffo”, Boris Giuliano, mentre era da solo, in un bar di Palermo a prendere un caffè.


domenica 30 maggio 2010

Mafia ed usura

Lavoro di ricerca ed approfondimento di Carlotta Spata

In passato la mafia era riluttante nei confronti dell'usura, che rimaneva pressoché estranea alle famiglie mafiose, che la consideravano unattività non adatta ad un uomo donore, che, anzi, spesso nel quadro di una politica populistica, tendente a dare di sé unimmagine inattendibile alla Robin Hood, difendeva le vittime dell'usura esercitando pressioni sugli usurai.

Oggi invece sempre più spesso elementi anche di spicco di Cosa Nostra si interessano a questa attività, allacciandosi ad operazioni di lavaggio di capitali sporchi. Pertanto le associazioni mafiose, attraverso anche a fenomeni come lusura e le estorsioni, sono riuscite nel tempo e deturpare i mercati locali appropriandosi illegalmente di un sempre maggior numero di imprese,acquisite quasi sempre con dei prestanome, cioè con una proprietà nominalmente fittizia, per cui risultano proprietari di aziende di ogni tipo e con qualsivoglia giro daffari disoccupati, casalinghe e pensionati il cui reddito è ben lontano dalla loro presunta proprietà.

Di sicuro è il possesso da parte delle famiglie mafiose di un enorme liquidità ad aver spinto le suddette organizzazioni criminali ad approfittare del prestito usuraio per riciclare e al contempo perché no a moltiplicare il denaro, ricorrendo spesso anche alla violenza per sottomettere le vittime ai propri interessi. Inoltre, i mafiosi, spesso favoriti dalle buone relazioni con alcuni istituti di credito bancario e ben inseriti nel tessuto economico in generale, sono facilitati nella ricerca di informazioni utili per selezionare e tenere sotto ricatto gli usurati. Tutto ciò aiuta a capire meglio come mai questa piaga, così diffusa nel nostro paese, sia divenuta primaria nellopera delinquenziale di siffatte organizzazioni criminali

Il business della mafia


lavoro di ricerca ed approfondimento di Spata Carlotta

L'usura in Italia non è riconducibile a un'area geografica particolare. Non è la riserva di nessuno. In una stessa zona possono esserci varie forme di strozzinaggio. L'antico sordido usuraio di quartiere, il cosiddetto cravattaro, il cui prototipo ha riempito tante pagine dei grandi romanzi dell'Ottocento è divenuto ai nostri giorni ben altro: un insospettabile professionista, che ha scelto un investimento particolarmente lucroso affidando parte dei suoi risparmi non alle banche, come sarebbe lecito, non ad investimenti borsistici o quantaltro è lecitamente previsto nella nostra economia capitalista per far fruttare il capitale attraverso gli investimenti, ma ad un usuraio, che impiega nel losco traffico i soldi, o, addirittura, il nostro insospettabile professionista presta il danaro direttamente a conoscenti e colleghi di lavoro, in cambio di solide garanzie e di tassi dinteresse fuori da ogni regola; il cravattaro si è trasformato nellapparire ma lessere è sempre lo stesso: sono entrambi delinquenti, uomini di malaffare.
E la mafia?[...] I mafiosi hanno sempre detto di non praticare l'usura, ma dietro questa petizione di principio si nasconde un'ipocrisia: i cosiddetti "uomini d'onore" prestano a strozzo e l'organizzazione lo tollera, magari nascondendolo a volte vergognandosene un po'. Ma la praticano, eccome. In modo più ampio e diffuso di quanto si creda.
Naturalmente l'usura praticata dagli "uomini d'onore" non deve mai entrare in contrasto con gli affari della mafia. Gli usurai non vengono tollerati quando c'è questo pericolo. Non è loro consentito prendere tanto spazio da creare allarme sociale. E chi pratica l'usura senza essere parte delle famiglie mafiose ma trovandosi nelle zone ad alta densità mafiosa, non può illudersi che quei quattrini possano essere esenti dal pizzo.
Giovanni Brusca in Ho ucciso Giovanni Falcone, libro firmato da Saverio Lodato, racconta: "Sotto sotto" erano un bel po' gli "uomini d'onore" che praticavano l'usura". A un suo amico usuraio Brusca disse: "Smettila o ti ammazzo. Smise subito: ma dopo si lamentava dicendomi che gli dovevano dare ancora un sacco di soldi. Gli risposi: Ti scasso tutto, ti rompo le ossa. Se vuoi essere mio amico devi smetterla. Vuoi essere mio amico? Sì? Allora smettila. Io non ne voglio usurai con me. Capitava infatti - conclude Brusca - che qualche poveraccio veniva da noi a lamentarsi di qualche strozzino. Allora si interveniva e si diceva: Facciamogli una tagliata, il che voleva dire costringere l'usuraio ad accontentarsi della semplice restituzione del capitale".
La mafia vuole regnare sovrana, non rinuncia mai a imporre norme che regolamentino gli affari e a contenere le tensioni sui propri territori. Ed impone sempre il rispetto delle regole. In numerosi procedimenti s'è accertato che anche i mafiosi che praticano usura pagano, come tutti gli altri imprenditori del quartiere o della zona, il pizzo alla cosca che controlla il territorio su cui l'usura s'è consumata. Disciplinatamente,. Ci sono poi gli usurai non mafiosi, titolari di una normale attività economica, commercianti che prestano a strozzo e, contemporaneamente pagano alla mafia con regolarità il pizzo sulle proprie attività lecite. La mafia tende a considerarli "a protezione limitata".
Ci fu una rapina presso una gioielleria di Palermo in un quartiere dove la cosiddetta protezione la pagavano tutti. Qualche giorno dopo - il gioielliere aveva protestato col suo protettore - una parte della refurtiva fu restituita al legittimo proprietario. Una parte soltanto, però. L'altra, venne spiegato al commerciante, di cui la mafia ben conosceva lattività parallela di usuraio, faceva parte del prelievo della "famiglia" sui profitti d'usura non dichiarati.
Anche in Calabria, nel Reggino soprattutto, gli uomini della 'ndrangheta non disdegnano l'usura. Non ne hanno l'esclusiva: convivono con usurai non 'ndranghetisti, né l'usura viene mai praticata come attività precipua della cosca, ma gli affiliati, per conto loro, ci si buttano per tirar su quattrini e lo fanno senza pregiudizi. In questo contesto malavitoso estorsione e usura convivono tranquillamente. Talvolta si danno anche una mano per cui può capitare che lo stesso operatore economico sia taglieggiato dall'estorsione e perseguitato dall'usuraio. Due volte vittima di personaggi non legati tra loro, ognuno dei quali, all'occorrenza, fa ricorso all'altro. E se la vittima sta diventando a rischio, nel senso che potrebbe non "onorare" più gli impegni assunti col "normale" usuraio? Quest'ultimo invoglia il suo "cliente" a rivolgersi a un suo amico in grado di prestargli ancor più soldi . E il dramma è scoprire che il nuovo protagonista è legato allorganizzazione mafiosa. E' quella che si chiama un'usura di secondo livello: più alto è il rischio d'insolvenza più alta deve essere la capacità di intimidire. La 'ndrangheta lascia fare. Anche lei può aver bisogno: l'usurato che non restituisce può diventare una "testa di legno", cioè un prestanome per gli affari della cosca, da usare per gestire e ripulire denaro e capitali sporchi.

martedì 4 maggio 2010

Giornalisti

Ieri è stata una giornata importante per l'informazione (e noi in Italia abbiamo bisogno di giornalisti con la schiena dritta). Ieri, in Lombardia, si è voluto ricordare le troppe vittime tra i giornalisti, vittime del terrorismo, vittime della guerra, vittime della mafia, vittime per aver cercato di fare con dignità professionale il proprio lavoro.

Un ricordo per Giancarlo Siani, un ricordo per Walter Tobagi, un ricordo per Ilaria Alpi, un ricordo per Enzo Baldoni, un ricordo per tanti, troppi eroi, non sempre riconosciuti come tali.

Ma un particolare ricodo agli 8 (otto, capite?) giornalisti uccisi dalla mafia:

Cosimo Cristina, ucciso a 24 anni, nel 1960, fu simulato un improbabile suicidio e la chiesa rifiut; di celebrarne i funerali religiosi,

Mauro De Mauro, rapito, ucciso nel 1970 e mai più fatto ritrovare,

Giovanni Spampinato, ucciso nel 1972 a 25 anni,

Giuseppe, Peppino Impastato, fatto saltare in aria con una carica di tritolo per simulare l'attentato terroristico nel 1978, a 30 anni,lo stesso giorno in cui fu ritrovato il cadavere di Aldo Moro assassinato dalle "brigate rosse",

Mario Francese, ucciso nel 1979 a 54 anni,

Giuseppe, Pippo Fava, ucciso nel 1984, a 59 anni,

Mauro Rostagno, ucciso nel 1988 a Trapani, lui che siciliano non era, ma che, come Danilo Dolci era venuto in Sicilia per riscattare i tanti, troppi, che della Sicilia sono vittime,

e Giuseppe, Beppe Alfano, assassinato nel 1993 a 58 anni.

No, non permettiamo a nessuno di ucciderli nuovamente dimenticandoli.